Perché e come investire nello 0-3 | #EducAzioni – i 5 passi per ripartire

Perché e come investire nello 0-3 | #EducAzioni – i 5 passi per ripartire

I motivi per cui è così importante investire nei primissimi anni di vita del bambino cominciano ad essere ormai abbastanza noti, soprattutto tra gli addetti ai lavori nei campi dell’educazione e della salute – che immagino oggi largamente rappresentati tra chi ci ascolta – mentre ne sono ancora poco conosciute alcune implicazioni. 

Nei primi due tre anni di vita si pongono le basi neurobiologiche delle competenze cognitive e socio-relazionali che poi condizionano molto e a lungo termine gli itinerari di vita di ciascuno. In altre parole, per quanto per tutta la vita ci sarà opportunità di apprendere e di cambiare, quello che accade, o non accade, nei primissimi anni condiziona fortemente le opportunità che ciascun bambino avrà in seguito. 

In questo processo di definizione della forma che ciascun bambino prenderà agiscono due grandi fattori: il primo è il patrimonio ereditato attraverso il DNA e non solo; il secondo è l’ambiente in cui il bambino cresce. 

Sul primo almeno per il momento non si può fare molto. Vediamo il secondo: partiamo da un fatto inconfutabile e recentemente dimostrato anche in Italia: a 4 anni i bambini sono già molto diversi, diseguali tra loro. Sono diversi nelle loro competenze cognitive, linguistiche, emotive, nel rapporto con se stessi e con gli altri. I fattori che li rendono diversi sono Il livello educativo dei genitori, la loro occupazione (soprattutto della madre) ma, attenzione, anche la frequenza ai servizi educativi, e la qualità dell’ambiente familiare di apprendimento.  Mi soffermo un attimo su questo concetto, ancora poco noto.  Un bambino diventa quello che è, oltre che in relazione al suo patrimonio genetico, soprattutto in rapporto a quello che accade in casa sua, al modo in cui i genitori gli/le parlano, al numero ed alla qualità delle parole, alla qualità del tempo passato con i genitori a leggere assieme, giocare, interagire in modo responsivo, che cioè tiene conto del bambino, dei suoi tempi, dei suoi bisogni dei suoi richiami. 

 

Questo fatto, largamente dimostrato, è della massima importanza perché ci dice che se questa bambina o questo bambino potranno avere accesso a un servizio educativo di qualità e se i genitori, o cmq le figure adulte di riferimento di questo bambino, possono avere accesso a servizi che li supportano nel loro percorso genitoriale, allora quella bambina e quel bambino avranno un itinerario di vita molto migliore davanti a loro e non partiranno con uno svantaggio difficilmente recuperabile solo perché nati nel posto sbagliato o da genitori a cui nessuno ha dato una mano. 

Nei primi anni, dunque, servono entrambe le cose: se nel nido avviene metà del lavoro educativo, l’altra metà avviene a casa, perché il bambino apprende ovunque, anche dove l’intento educativo non è esplicito o è trascurato. Un b. apprende anche da un genitore che non gli parla, o che lo tratta male, solo che apprende a non parlare e a trattare male. Quindi il gap da colmare non riguarda solo quegli 8 bb su 10 che in Italia non hanno accesso a un nido, ma anche quei 9 genitori su 10 che non hanno accesso a servizi finalizzati a loro in quanto genitori 

Oggi sappiamo che fare questo lavoro con i genitori non è difficile, né costoso, certo richiede competenza. Esistono molte esperienze sia internazionali che italiane che dimostrano che i genitori, tutti i genitori, accompagnati e supportati in attività di qualità con il loro bambino, sottolineo con, possono migliorare i propri stili genitoriali e quindi il potenziale di sviluppo dei propri bambini…in modo sorprendente.

In conclusione, l’edificio dell’educazione si costruisce dalle fondamenta, dal primo anno di vita, e di queste fondamenta fanno parte sia i servizi educativi diretti al bambino che quelli diretti ai genitori. Se comprendiamo questo possiamo ottenere risultati migliori, perché vi è sinergia tra il lavoro fatto con i bimbi e quello fatto con i genitori, e più rapidamente, perché servizi di qualità per genitori possono essere aperti con risorse molto più contenute (attenzione a quanto sta accadendo ora per pandemia covid che rischia di portaci molto indietro nell’offerta di nidi perché i requisiti sono troppo stringenti spesso senza vera dimostrazione di necessità). 

Le implicazioni pratiche di questo sono evidenti: è necessario oltre che ampliare i congedi parentali, facilitare l’accesso non solo ai nidi ma anche ad altri servizi di qualità, flessibili, operativi anche per un numero più limitato di ore, quindi realizzabili su scala ampia in pochi anni, che mettano al centro anche il lavoro finalizzato a supportare competenze e risorse dei genitori. Va da sé che servizi quali baby sitter e baby parking, se possono essere aiuto per facilitare la conciliazione con il lavoro, non hanno valore educativo, quindi non possono essere messi sullo stesso piano dei nidi e dei servizi per le famiglie. 

Questa è la strada da percorrere da parte del Governo, delle Regioni e soprattutto dei Comuni, con risorse attribuite dallo Stato ma anche messe a disposizione da altri attori della comunità, privati (aziende grandi e piccole) e del privato sociale: più nidi ma anche più servizi per famiglie con bimbi 0-3. Ce lo dice non solo la scienza, ma i documenti della CE, una dichiarazione dell’ultimo G24 tenuto a Buenos Aires, gli stessi documenti dei ns ministeri (salute ed educazione) ed esperienze ormai diffuse in tutta Italia, quali quelle sostenute da Con i Bambini. 

Come molti hanno autorevolmente dimostrato, investire nella prima infanzia è oggi l’investimento più redditizio che un governo, una società intera, possono fare.