Ciao nonno

Ciao nonno

Accogliamo l’invito di Franco Armino, poeta, scrittore e regista italiano, e ci stringiamo in un pensiero di comunità, dedicato a tutte le persone che in questi giorni di forte emergenza sanitaria, si addormentano da sole, per non risvegliarsi più.
Alle 12 di oggi, per cinque minuti, il nostro tempo scorrerà in silenzio, con il solo rumore dei nostri cuori e dei nostri pensieri, delle nostre speranze.
Intanto, vi lasciamo alla lettura di un editoriale speciale pubblicato su Medico e Bambino “Ciao Nonno”

Ciao nonno,
Mentre scriviamo sono arrivate a 10.000 le vittime dell’epidemia, senza contare i non contati. Nella loro stragrande maggioranza sono nonni, e qualche bisnonno. Nella loro grande maggioranza, se ne sono andati da soli, senza lo sguardo o la mano di qualche familiare, al massimo quella di un infermiere o di un medico. Il più delle volte già sedati. Già fa molto male pensarlo. Ma per un nonno o una nonna che se ne va, c’è uno o più nipoti che non ce l’hanno più. Ma lo sanno, l’hanno saputo? E come?
Niente cerimonie, niente funerali, niente visite in camera mortuaria o almeno un saluto a qualcuno, qualcosa che contenga o che rappresenti chi è scomparso.
Quali parole hanno sentito, i nipoti? Chi gliel’ha dette? Con quale forza?
Abbiamo nascosto la morte per decenni, cacciata nella foresta buia, esorcizzata, come qualcosa di cui non si può parlare.
Abbiamo raccontato storie più o meno verosimili, a volte per nulla, per spiegare la scomparsa di un congiunto o di un amico ai nostri bambini. La celebrazione della morte ha coinciso per millenni con le massime espressioni della civiltà umana.
L’accompagnamento dei defunti ha creato linguaggi, religioni, musiche, arti, manufatti che ancora restano, per i contemporanei, che li visitano ammirati. Ma la morte, questo supremo passaggio che li aveva creati, è scomparsa. Relegata, oggi, agli schermi, ai videogiochi, disumanizzata. E spesso nascosta: è troppo piccolo; non vorrei che soffrisse; non so cosa dire; aspettiamo. Comprensibile. Ma ai bambini bisogna parlare.
Se non fanno domande a noi, se le fanno da soli. Spesso attribuiscono a se stessi la responsabilità di quanto è accaduto. Coltivano pesi, e ne manifestano i segni. Certo, dipende dall’età del bambino: all’inizio è un viaggio, un sonno, insomma una cosa reversibile. Poi, con gli anni, diventa irreversibile. Comincia a corrispondere a una idea, quella di una cosa definitiva, che non torna.
La comunicazione della morte era già ardua. Ora, nell’epidemia, lo è diventata ancora di più.
Come parlarne se ne mancano il corpo testimone, o i suoi simboli, o le sue cerimonie? Ma occorre farlo, trovare un modo, creare una qualche cerimonia, per poter salutare, e poi ricordare. È difficile, è dura, ma troviamo, intanto, le parole.
E poi i segni, i disegni, gli oggetti, i suoni, per ricordare. E poi ancora, quando tutto si sarà calmato, ritroveremo anche i luoghi.
Della morte, e della sua celebrazione, abbiamo bisogno, noi grandi come i piccoli. La sua presenza è necessaria alla vita, per darle forma, senso, direzione.
Salutiamo il nonno? Sì. Ciao nonno. Ciao nonna.